giovedì 17 ottobre 2013

Good times for a change

cambiàre    [kam'bjare]
v.tr. e intr.


vtr
sostituire una persona o una cosa con un'altra
vtr
rendere diverso
vtr
[detto di moneta] sostituirla con spiccioli o con valuta di altro Paese
vintr
diventare diverso

Good times for a change.

Dopo la nascita di un figlio tutta la nostra vita cambia.
Tutta.
Cambiano gli orari della colazione e le ore di sonno. Cambiano le nostre abitudini e il nostro concetto di riposo.
Cambiano le aspettative, i desideri, gli obiettivi. Cambia la considerazione di ciò che prima sembrava importante ed ora passa in secondo piano.
Tutta la vita cambia dopo la nscita di un figlio.
Mai detto fu più azzeccato.

Dopo i primi mesi  (in questo caso almeno 12 direi) le cose intorno a te però, lentamente, ti suggeriscono che si può quasi tornare a quella che prima consideravi "normalità".
Cominci a capire che puoi ricominciare a prenderti un pomeriggio dopo il lavoro per andare dal parrucchiere.
E la cosa ti piace.
Capisci che ogni tanto puoi anche uscire la sera.
E la cosa ti piace.
Capisci che quasi quasi puoi azzardare di pensare vagamente di ricominciare a fare pilates. Ad uscire con le amiche, ad iniziare nuovi progetti.

Poi c'è un momento in cui non ti basta tornare a quello che eri.
Perchè siamo esseri umani e gli esseri umani si nutrono di cambiamento.
Quindi c'è un punto, dopo la nascita del figlio, in cui senti che devi cambiare.
Qualcosa o molte cose non importa.
Good times for a change.

Devi modificare quello che sei e quello che hai intorno per avere nuova energia.
Il piccolo non è più così piccolo e così, senti, che può inziare un nuovo periodo, un nuovo capitolo della vita.
Good times for a change.

I cambiamenti portano energia nuova. I nuovi progetti ci danno slancio. I nuovi stimoli ci rendono attive e ci fanno sentire meglio.
Così possiamo ripartire per una nuova, un'ennesima, fase della vita, in cui 'aver riacquistato un po' della nostra libertà ci rende più forti.
Good times for a change.


martedì 8 ottobre 2013

Oddio, le coliche!

Al terzo di giorno di vita Dboy ha cominciato a piangere.
E, praticamente, non si è più fermato fino al quarto mese.

Dopo i primi tre giorni di vita passati senza nulla nello stomaco, al quarto, Dboy ha cominciato ad avere il mio latte tirato.
Che, ovviamente, visto la montata lattea inesistente per mancanza di ciucciate, non bastava.

Quindi Dboy, alla fine della sua prima settimana di vita, ha cominciato a nutrirsi con latte artificiale.
E ha cominciato a piangere.
A piangere.
A piangere.

C'erano giorni che era capace di piangere 10 ore consecutive.
10 ore consecutiva di urla, di dolore e di angoscia. Per lui. Per noi.

Era così piccolo, comunque mangiava e cresceva. Ma soffriva. Soffriva continuamente e, vederlo così, per noi era una vera e propria tortura. Sembrava ci strappassero ogni volta le viscere da dentro.
Il medico ci rassicurava. Lui stava bene in fondo, cresceva. 

Io lo mettevo nella fascia e cercavo di tenerlo stretto addosso a me e lui, piano piano, riusciva a rilassarsi e finalmente si addormentava.

I primi 3 mesi dopo il parto, i  primi 3 mesi  di vita del bambino sono davvero duri.
Almeno lo sono stati per me.
Sono stati duri perchè ero stanca, ancora dolorante all'inizio, spaesata e incredula. Non sapevo e non credevo possibile che ce l'avrei fatta a prendermi cura di quel bambino appena nato, che ancora non conoscevo.
Ed ero stanca.
Stanca.
E lui piangeva. Io ero sola.
Ero sola con lui per la maggiorparte del tempo e lo guardavo e lo sentivo piangere e non sapevo come alleviare quel suo dolore. Quel dolore che, in quel periodo, sembrava davvero caratterizzare tutta la sua identità.

Abbiamo cominciato a proporre tutti i rimedi noti e conosciuti in tutto il mondo e oltre per alleviare le "coliche del lattante".
Gocce, tisane, sali. Omeopatia, medicina tradizionale, conoscenza tradizionale. Massaggi, massaggini, manovre, fermenti.

Ma lui piangeva, piangeva, piangeva.
Non trovava, e non ci dava, riposo.
Piangeva prima della poppata e dopo, piangeva dopo il bagnetto. Piangeva durante la passeggiata.
Piangeva.

Io lo so, solo chi ha un figlio che ha sofferto di questi lancinanti dolori addominali può capire.
Perchè sentire un figlio piangere per ore ore ore e ore ed essere impotenti davanti a ciò per provando tutto è devastante.

Piangeva talmente tanto che, a nemmeno tre mesi, gli abbiamo dovuto are un'eco addome perchè, a quel punto, si sospettava la possibilità di altro.

L'eco è ancora di là, tra le sue cose, e mostra un addome opaco. E'  aria che dilata le anse quello che l'ultrasuono riesce a mostrare.
Soffriva sì e ne aveva davvero diritto.
Era pieno d'aria.

Ci dicevano, soprattutto i medici "Signora, passerà."
E io pensavo che era solo un modo per tranquillizzarmi. Tranquillizzare me che ormai gli davo una medicina con il bromuro per farlo rilassare qualche ora e fargli avere un po' di pace e riposo.

E invece avevano ragione. Avevano veramente ragione loro.

Un giorno, era l'inizio di novembre, le cose sono cambiate.
Quel giorno, all'inizio di novembre, mio figlio ha cominciato a ridere.
Ho visto il suo primo vero sorriso rilassato. Ho sentito la sua prima risata.
Dboy ha cominciato a ridere. E non ha smesso più.
E ci ha mostrato, liberato ormai da tutto quel dolore, chi era davvero.
Un bambino che ride sempre.
Ed è ancora così.

Il suo intestino era maturato, l'aria non c'era più, il dolore, piano piano, era completamente svanito.
Avevamo provato veramente di tutto. Di tutto.
Ma alla fine è vero, le coliche passano da sole.
Loro vanno via e  i nostri bimbi possono finalmente presentarsi per quello che veramente sono.





lunedì 7 ottobre 2013

C'era un'altra cosa che volevo fare

C'era un'altra cosa che volevo fare.
Il mio piccolo cucciolo volevo portarmelo addosso.
Sì, volevo portarmelo addosso come mamma canguro. Volevo essere una mamma canguro e volevo portare Dboy sempre addosso.
Volevo sentire l'odore di cucciolo. Volevo che il cucciolo sentisse il mio odore e che questo odore diventasse per lui l'odore più bello e rassicurante del mondo. L'odore di mamma.
Sì, volevo. Perchè la storia, poi, non è andata affatto così.

Prima di partorire avevo letto a destra e a manca, guardato figure e video for dummies su youtube.
Mi ero iscritta (veramente lo sono ancora, e ancora lo leggo con piacere ed un pizzico d'invidia) ad un gruppo di Mamme portatrici, mi ero convinta che era quello che desideravo e che faceva al caso mio.
Avevo anche parlato con chi le fasce e i supporti vari li usa e li produce e mi aveva aiutato a scegliere quello sembrava adatto alle mie esigenze.

Ma avevo fatto i conti senza l'attore principale della storia. Ancora una volta avevo fatto i conti senza di lui.

Ho una splendida ring sling blu notte. Il blu profondo su quale stanno bene le stelle. Un blu perfetto per Dboy.

C'era un'altra cosa che volevo fare, oltre ad allattare, ed era portarmi il mio cucciolo addosso.
Volevo tenermelo stretto. Volevo sentirlo sempre e volevo che lui mi sentisse.
Ma lui aveva altri progetti.

Tranne i primissimi mesi, in cui Dboy sembrava trovare grande sollievo dalle coliche quando lo mettevo in fascia nella posizione a culla,  non c'è stato niente da fare.

E io ho accettato che un bambino che non amava particolarmente stare in braccio e stare costretto in spazi piccoli non avrebbe mai amato particcolarmente stare in fascia.

E io, ancora una volta, ho imparato da lui. Che i progetti si modificano, che i desideri cambiano, che non sono una cattiva madre perchè non lo porto addosso e perchè non ci sormo insieme.

Lui è così, io sono così.
E, per il momento, la coppia funziona.




A volte ci provo ancora a mettere Dboy nella fascia. Ci divertiamo un mondo ma rimane un gioco.
Il gioco in cui mi porto il mio piccolo cucciolo addosso.






domenica 22 settembre 2013

Mi ero scordata della fine del mondo...

Mi ero scordata della fine del mondo.
Una volta, qualche anno fa, sono stata alla fine del mondo.

Tirava vento. Tirava il vento della fine del mondo.
Tirava vento, le nuvole erano veloci. Il mare rombava di sotto e si schiantava e si schiantava sulla roccia nera.
Il mare urlava, il vento si infilava sotto le porte e nelle tasche.
Era la fine di agosto.

Ma, seppur alla fine di agosto, la fine del mondo si comportava da tale e scompigliava i capelli e le idee nella testa.
E scompigliava i pensieri.

La fine del mondo (in relatà semplicemente la fine del continente, conteso per altro da un altro luogo) si trova in Portogallo.

Mi ero scordata della fine del mondo.
Quel luogo , Cabo da Roca, è degno di essere la fine del mondo.

Quando Dboy sarà un poco più grande porterò anche lui alla fine del mondo.
Così che potrà guardare avanti, ed oltre. Oltre la fine del mondo.

lunedì 16 settembre 2013

I bambini non sono tutti uguali

I bambini non sono tutti uguali.
Sembra ovvio, scontato, elementare.
I bambini non sono tutti uguali.
Lo sappiamo.
Eppure va fatto uno sforzo di intelletto e di viscere per capire davvero.
E capire il proprio bimbo é il primo compito della sua mamma.
Molto ci viene dall' istinto e molto, secondo me anche di più perché io sono convintissima che mamma si diventi, non si nasca, ci viene dall' ascolto.
Per ascoltare bisogna mettersi nella disposizione di ascoltare l'altro.
E anche qui ci viene richiesto uno sforzo.
Uno sforzo sì, perché mettersi nella disposizione di ascolto vuol dire concentrarsi solo sull' altro e dimenticare per un po' se stessi.
Se si riesce a rendersi così disponibili anche un esserino che non parla potrà essere compreso bene nelle sue richieste e nei sui bisogni.
Ascoltare e osservare.
La mamma deve essere una buona osservatrice di suo figlio per riuscire a parlare con lui un linguaggio che non vuole parole e esserci sempre, sapendo addirittura anticipare le richieste.
I bambini non sono tutti uguali e quindi vanno sempre assecondati nel loro essere. E ogni mamma sa chi é suo figlio. E sa cosa deve fare.
E lo sa non perché é una madre innata, già madre prima di esserlo. Lo sa perché una madre ascolta e osserva suo figlio e capisce fin da subito che é una persona. E lo rispetta.
Da quando é nato D boy, per dirci che ha sonno, si lagna un po', tira su le braccia e gira la testa.
Lo fa da quando è nato. Fa ancora così e noi sappiamo cosa fare.
Non ha mai voluto stare in braccio, con mio grande dispiacere.  Preferiva carrozzina, passeggino e ora esercitarsi a camminare.
Si divincola, scalcia, si lagna. E fa così da sempre.
Non ama dormire con noi perché a lui piace lo spazio e poter rotolare quanto vuole nel suo lettino.
Lui é sempre stato cosi, già indipendente appena nato.
Tutti i bimbi sono diversi e vanno rispettati.
Se io avessi costretto mio figlio a dormire con me per mio piacere e a stare in braccio sarei stata migliore? Perché lo so che ci si aspetta quello da una mamma.
Ma io conosco mio figlio e il mio amore glielo dimostro continuamente.
Rispettandolo.
P.S. ovviamente ci sono meravigliose meravigliosissime eccezioni che accogliamo con grande piacere. 


Time

La cosa più preziosa é il tempo.
É talmente preziosa da non poter essere barattabile o acquistabile.
É talmente preziosa che si può raramente donare.
E non la puoi tenere con te.

Io vorrei tempo.
Vorrei che le giornate moltiplicassero le ore, che le nuvole andassero con calma nel cielo e che il sole rallentasse per me il suo corso.

Mi serve tempo.
Mi serve per fare cose.
Mi serve per riposarmi.
Mi serve per lavorare e divertirmi
Mi serve per mio figlio.

Vorrei che le ore si moltiplicassero per fare tutto quello che devo e quello che voglio.
Vorrei avere in regalo del tempo per stare di più con Dboy.
Per giocare sul tappeto e ridere.
Per fare il solletico e parlare con gli animaletti che decorano la sua camera. Per alzarci in piedi e cadere.
Per ridere.
Per ridere e abbacciarci.

Il tempo é davvero un bene inestimabile.
Ora me ne accorgo.
Ora.

martedì 3 settembre 2013

Primo giorno di scuola. Parte seconda: lo stupore

E' così.
I bambini sono così, ti stupiscono.
Tu ti preoccupi per un mese. Fai finta di niente, lavori, ti fai le tue vacanze, fai la spesa, giochi con lui.
E intanto pensi.
Pensi.
Pensi: chissà se riuscirà a stare senza di me.
Pensi: chissà se sarà in grado di giocare con gli altri.
Pensi: chissà se sarà felice.
Se sarà felice senza di me. Senza noi.

Poi lo porti all'asilo.
La maestra lo saluta e lo prende in braccio. Lui si guarda intorno. E' curioso.
La maestra lo porta in terrazza, lo presenta alle altre maestre e ai bimbi.
Lui ride. Ride.
Apre la bocca come fa lui quando è felice. Pare che fa un verso. Apre la bocca e dice: Aaaaaaa.
E' contento.
E batte le manine.
Sta in piedi e gioca con la maestra e i bimbi.

Dboy era così tranquillo che la maestra mi ha proposto di lasciarlo direttamente per il pranzo.
Non me l'aspettavo ma ho accettato perchè lo vedevo tranquillo.
Me ne sono andata.
E ho comprato due paia di scarpe.

Il primo giorno di asilo.

domenica 1 settembre 2013

Primo giorno di scuola. Parte prima: l'attesa.

Il primo giorno di scuola.
Il primo giorno di scuola ce l'hanno avuto tutti. Qualcuno se lo ricorda, qualcuno no ma tutti lo hanno avuto.
Il primo giorno di scuola.

Domani sarà il primo giorno di asilo nido per Dboy.

Lui, adesso, è felice e contento e sfoglia un librone con storie figurate e parla con i pupazzi disegnati.
E' ignaro lui.
Lui non sa che domani sarà il suo primo giorno di scuola.

Io il mio giorno di scuola me lo ricordo.
Mi ricordo il primo giorno della I elementare.
Ero contenta ed emozionata. Avevo uno zaino con dei personaggi francesi che facevano il circo.

E' un mese che penso a domani.
E' un mese che penso a domani e faccio  finta di niente.

E' come se domani fossero concentrate tutti i primi giorni di ogni cosa.
E domani, per me, è il più importante di tutti i miei primi giorni.



venerdì 30 agosto 2013

Per chi?

Oggi io e Dboy abbiamo fatto una passeggiata.
Abbiamo fatto una passeggiata con un'amica e un amichetto.
Dboy e il suo amichetto si conoscono da quando erano piccoli piccoli nella pancia delle mamme e le mamme andavano in piscina. Si conoscono da quando la mamma non sapeva ancora che Dboy fosse un boy.

Abbiamo fatto una bella passeggiata e abbiamo parlato.
E io ho pensato alla questione dell'identità.
Da quando abbiamo un figlio siamo inevitabilmente principalmente madri?
Qual è il punto in cui si è autorizzate a ritornare ad essere un filo egoiste per sopravvivere?
Dobbiamo inevitalmente votarci  per il bene superiore del figlio?

C'è un momento, circa 6 mesi dopo, in cui si è pienamente consapevoli che il figlio non è più parte di sè. Prima, almeno per me, era veramente duro lasciarlo e staccarmi da lui. Ogni volta sentivo un dolore fisico.
Sentivo che mi veniva strappata via qualcosa dalla pancia.
Con l'allattamento artificiale certi passaggi sono più semplici: mamma e nutrimento non sono necessariamente inestricabilmente uniti. Mamma è mamma ma il latte ce lo può dare pure papà.
Così certi passaggi si semplificano e la mamma viene alleggerita perchè non deve sempre essere lei a nutrire, ma può farlo qualcun'altro al suo posto.

Quando si allatta tu, la mamma, sei non sono fonte di inesauribile amore, ma anche di inesauribile e dolce nutrimento.
Io volevo allattare. Non sono riuscita e il nutrimento mio figlio l'ha avuto da me e dal suo papà.
Ma se allatti non si scappa. Ci sei solo tu.

Qual è il punto in cui una madre è autorizzata a fare un passo indietro, a negare di dare tutta se stessa per nutrire il figlio per recuperare pezzi di sè quando sente vicino il crollo?
Sì perchè, dopo un anno di allattamento con un bimbo che si calma solo col tuo seno e con niente altro, con un bimbo che si sveglia di notte e niente può se non il latte di mamma si ha anche il diritto di essere stanche.

Però la decisione è dura. Devi decidere.
Ma per chi?
Per lui? Perchè il latte di mamma, finchè ce n'è, è la cosa migliore del mondo.
O per te? Perchè senti che non ce la fai e se tu non ce la fai, chi sarà con lui?
Per chi?

giovedì 29 agosto 2013

Se hai le rotelle sei fregato

Se hai le rotelle sei fregato.
Che tu sia una simpatica vecchietta col carrello della spesa, una mamma con un passeggino, un papà con la carrozzina o un ragazzo su una sedia a rotelle, sei fregato.
Le città amano sempre meno i propri cittadini e la metà dei cittadini di qualsiasi città se ne frega senza rimorsi dell'altra.
Chi appartiene ad una delle categorie sopraindicate capirà immediatamente di cosa sto parlando.
Spesso è impossibile addirittura uscire di casa da soli. Una fastidiosa, umiliante, angosciante limitazione della propria libertà.
Scale. Scale. Scale senza scivoli.
Scivoli troppo ripidi.
Marciapiedi altissimi.
Scivoli ostruiti da macchine.
Senza pietà.

Da quando porto un passeggino ho veramente capito le difficoltà di chi è su una sedia a rotelle.
Prima le intuivo, le potevo comprendere razionalmente ma ora le vivo. E io sono enormemente più fortunata perchè il passeggino è molto più piccolo, agevole e la mamma è in grado di fargli fare scalini.
E ad un certo punto non lo userò più.

Ogni volta che scendo per fare una passaggiata con Dboy è sempre la stessa storia. Sempre.
Scivoli chiusi dalle macchine. Marciapiedi sconnessi e, a volte, ve lo giuro, impossibilità di scendere dal marciapiede.
E io mi arrabbio. Mi arrabbio e auguro sempre, nella mia testa, all'incivile automobilista, di doversi trovare lui un giorno ad aver bisogno di uno scivolo.
Badate, non è maledizione lanciata, è invito e augurio che egli/ella possa imparare ad essere compassionevole. Che è una bella cosa.
La compassione non ha niente a che fare con la pena. La compassione è la capacità di soffrire con, quindi di capire appieno la sofferenza dell'altro. Prendersene su di sè un pezzetto, almeno per un momento, e capire.
Se fossimo più compassionevoli forse cose di questo genere non ne troveremmo più. Forse.
Perchè la gente capirebbe se c'è uno scivolo, quello scivolo serve, non è un cedimento del marciapiede. Se ci sono le strisce pedonali, servono, non sono un'estrosità optical di un architetto...
Forse però.
Perchè se sei stronzo sei stronzo.



mercoledì 28 agosto 2013

Io volevo allattare

Io volevo allattare.
Quando ero incinta io pensavo che avrei allattato. Non era un desiderio, un sogno, un augurio. No.
Io volevo allattare.

Durante gli ultimi mesi di gravidanza mi ero molto informata, avevo letto articoli e blog, avevo ben guardato il sito della Leche league,  seguito con grande attenzione le lezioni sull'allattamento dei  corsi preparto che frequentavo, avevo letto testimonianze sui blog e raccolto esperienze da amiche.
Io volevo allattare.
Ma non è andata così.

A distanza di più di 13 mesi mi sento ancora in colpa. Non avrò insistito abbastanza? Non sarò stata capace di capire il mio bambino? Mi sarò fatta sopraffare dalla paura?
Con grande piacere ho ricevuto la notizia dell'uscita del nuovo libro di Giorgia Cozza "Latte di mamma....Tutte tranne me". Non l'ho ancora letto e, francamente, non so se lo farò perchè per me rimane una ferita ancora non rimarginata. E le ferite non rimarginate, pizzicano.
Perché comunque hanno sempre da dire e, se non allatti, sei una fallita.
E sei una fallita del peggior fallimento: non sei riuscita a nutrire tuo figlio.
Ecco, così mi sono sentita. Incapace.

Dboy è nato a 36 settimane di gestazione e due giorni.
Quando è arrivato da me apriva la boccuccia come fosse un piccolo uccellino. E dormiva.
Non c'era verso di svegliarlo e farlo attaccare.
Io provavo ma l'unico risultato che riuscivo ad ottenere era che lui aprisse la bocca sì, ma non ciucciasse.
Avevo parlato anche con l'ostetrica dell'ospedale.
Io volevo allattare. Ma Dboy non si attaccava e, quando lo faceva, non ciucciava.
Io mi ostinavo ma i giorni passavano. Tutti erano intorno e ognuno aveva qualcosa da dire.
Io volevo allattare e mi ero raccomandata che al nido non gli dessero biberon.
Ma lui non si attaccava e cominciava a piangere.
Arrivati a casa pensavo sarei stata più tranquilla e avrei potuto provare ancora.

Ricordo il pomeriggio del nostro primo in giorno in casa. Tutti i parenti di mio marito ci erano venuti a trovare.
Io ero stanca, brutta, impaurita, dolorante. Dboy, ad un certo punto cominciò a piangere. Aveva fame.
Non riuscivo a farlo attaccare. Avevo una serie di persone intorno che mi dicevano come fare. Persino gli uomini sapevano meglio di me come si allatta.

Il pianto di Dboy di quel giorno è durato ore.
La mattina dopo, era domenica, chiamai il mio caro amico pediatra che mi disse che 3 giorni e mezzo di digiuno erano il massimo che mi potevo concedere, di comprare un biberon e del latte artificiale.

Avevo perso. Avevo fallito. Non ero in grado di nutrire mio figlio.

Sono sicura che se fossi stata sostenuta in modo diverso forse, un pochino, sarei riuscita. Forse.
Nelle prime settimane mi sono martoriata con tiralatte manuale e poi elettrico.
Se proprio non doveva attaccarsi almeno avrebbe preso il latte di mamma.
Ma se un bimbo non si attacca e non ciuccia la montata lattea non arriva. Gli ormoni e il cervello fanno il loro dovere e si ingannano con difficoltà.
Per il mio cervello io non avevo un cucciolo perché non c'era nessuno che si attaccasse al mio seno per bere.

Per due mesi ho anche continuato ad attaccarlo al seno prima di ogni poppata. Sperando che l'uccellino trovasse la forza di ciucciare.

Poi mi sono arresa.

Dboy, a parte 4 mesi di terribili coliche, stava bene. Cresceva, faceva progressi.
Stava bene. Anche senza il latte di mamma.
Ma la mamma avrebbe voluto tanto che lui si nutrisse di lei.
E che lui la perdonasse.

In vacanza con il pupo

vacànza    [va'kantsa]
s.f.


vacànze    [va'kantse]
sf
l'essere vacante; la condizione di un ufficio privo del titolare
sf
sospensione temporanea dell'attività negli uffici, nelle scuole, nelle assemblee per ragioni di riposo o per celebrare una ricorrenza
sfpl
lungo periodo di riposo concesso a chi lavora o studia


Ad un certo punto dell'anno, di solito quando fuori fa una temperatura media di 32° con umidità 87%, arriva il momento di andare in vacanza.
La maggiorparte delle persone la programma con cura. La sogna, la pensa, la invoca. Cerca per mesi.     
E prenota. Gli altri vanno un po' all'avventura, vedono quel che c'è, buttano l'occhio da una parte e dall'altra, pigliano una zaino e via.

Colpo di scena: nonstante io sia la donna delle liste le vacanze le facevo nel secondo modo. Decidevo all'ultimo, a volte prenotavo a volte no, e via.

Ora no. Ora c'è Dboy.
Quest'anno le vacanze sono state minuziosamente programmate e preparate.
Prima c'è stata la lunga ricerca del dove. Il quando già si sapeva e non si poteva nemmeno scegliere.
Poi c'è stata la prenotazione, poi il ripensamento, poi la fiducia e la speranza, poi l'ansia della valigia, poi il fare la valigia e poi è arrivata la partenza.

Dove è meglio andare con un bambino di 12 mesi?
Dove vi pare perchè, anche se la cosa potrebbe stupire, i bimbi sono in grado di adattarsi meglio dei loro genitori.
Vi piace il mare? Portatelo al mare: si riempirà i polmoni di salutare iodio, prenderà dimestichezza con l'acqua, la sabbia e con l'immensità del mare, apprezzerà i pomeriggi macilenti sotto gli ulivi e le cene alle sagre di paese.
Vi piace la montagna? Portatelo in montagna: respirerà l'aria pura, imparerà a conoscere gli animali e si cimenterà in bei giochi sugli sterminati prati.
Volete fare la vacanza in una città? Nonostante fuggire dallo smog per un po' per i bimbi sia sempre la cosa migliore, un bimbo starà ottimamente anche nelle vie di Barcellona.

Io, come al solito, ero nel panico. Non sapendo cosa scegliere, cosa fosse meglio per Dboy, soprattutto per la sua alimentazione, alla fine ho optato per un appartamento.
Ho sbagliato. Ve lo dico, ve lo confesso. Ho sbagliato.

I maniaci del controllo difficilmente accettano che siano altri a preparare il cibo per il proprio figlio.
Ve l'avevo detto che ero una maniaca del controllo?
Avreste dovuo capirlo dalla faccenda delle liste.

Abbiamo passato le vacanze in un appartartamento in residence con piscina vicino al mare ma lontano dal paese e dai punti di approvvigionamento.
Inutile dire che Dboy non ha risentito di nulla: ha dormito, mangiato, nuotato, giocato, guardato, si è divertito e rilassato....
Io, invece, ci ho messo una settimana per ambientarmi pensando di aver sbagliato tutto.

Eh, i bimbi. Bisogna dargli fiducia.
Ai genitori un po' meno.


Genitori.figli.genitori.figli...

Io non abito nella città dove sono nata.
Ho cambiato.
Ho cambiato perchè ho seguito l'amore.
Io, che non sono una romantica, ho cambiato vita e città per amore.
Quindi io non vivo più nella città dove sono nata, dove sono cresciuta formandomi tra scuole, sport, parchi, mostre, feste, cinema , due università e amici.
Amici.
Ma non troppi. Io non sono una da tanti amici. Ne ho sempre avuti pochi e alcuni di loro sono ancora qui. Presenti, con grande piacere, nella mia vita nonostante siano sparsi ai quattro angoli del mondo.
Io ho lasciato tutti gli affetti precedenti e ho cambiato tutto per un affetto solo e per la fiducia e la speranza di costruire la mia vita insieme a lui.

Ad agosto Dboy ha fatto le prime vacanze della sua vita. Ma anche la mamma, poi, ha avuto bisogno di fare delle vacanze...Ed è tornata a casa.
A casa della sua mamma dove è ancora figlia e non solo madre. Dove ha ritrovato i suoi libri, i suoi fiori e le foto. E le amiche.
E dove si è sentita libera, libera. Per una settimana era figlia oltre che mamma!
Per una settimana i nonni lontani si sono occupati con piacere di Dboy e lei ha fatto una vita di cui aveva perso anche il ricordo del piacere.
E' uscita da sola a guardare le vetrine dei negozi e il mercato vicino casa, è uscita a cena con le amiche di vecchia date che ne hanno portate delle nuove. Ha visto Roma cambiata. Ha capito che Roma si è dimenticata di lei e questo l'ha resa triste. Ma lei Roma la conosce e sa che soffre di amnesie momentanee. Sa che, in fondo, le vuole bene.
Ha perso tempo, ha lasciato che le preperassero il preanzo e lo facessero anche per Dboy. Ha parlato col cane, che ormai è vecchio. Si è seduta in balcone a sentire l'aria tiepida del pomeriggio.

E' stata una bella settimana.
Una settimana da figlia e non solo da madre.



martedì 27 agosto 2013

The name game

Dare il nome.
Dare il nome è un atto fondante, è una creazione. E' la creazione dell'identità.
Dare corpo e realtà a qualcosa e, magari, dargli un destino.
Dare il nome a qualcosa o a qualcuno non è atto da poco. E' anzi atto divino perchè fa esistere ciò che prima non esisteva.

Ad un certo punto, quando si aspetta un bimbo, si arriva al fatidico nodo: come lo chiamiamo?
C'è chi già lo sa da quando aveva 13 anni. Ha un nome in testa. Il resto non conta.
C'è chi, metodicamente, vaglia ogni possibilità e stila liste che vengono mano a mano assottigliate fino a rimanere col solo vincitore.
C'è chi va sul sicuro e pesca in famiglia.
C'è chi rimanda, rimanda, rimanda....convinto poi che, vedendo la faccia del neonato, avrà un'illuminazione.

Io sono una di quelle del secondo gruppo. Io faccio liste. Io sono la regina delle liste.
Le faccio per tutto: spesa (ma questa è facile), cose da fare, cose da fare al lavoro, cose da ricordarsi, bagagli, libri da leggere, film da vedere.....Io faccio liste.

Prima che scoprissimo il sesso del bambino io e mio marito ci siamo lanciati nell'avventura di redigere una "lista nomi". La lista era personale e divisa per sesso: ognuno avrebbe scritto le proprie preferenze e poi le avremmo confrontate.
I nomi in comune tenuti in cima, i nomi che proprio non piacevano all'uno o all'altra cancellati.

Ora voi penserete che sia stato un gioco da ragazzi. Ma dare un nome non può mai essere un gioco. E' una cosa importante, fondamentale, fondante.
Così questa lista è rimasta sul frigorifero per settimane.
Ogni volta, entrando in cucina, ci buttavamo l'occhio e poi organizzavamo un brain storming e decurtavamo nomi.

Poi abbiamo saputo il sesso e la lista si è naturalmente dimezzata.

Alla fine, ma proprio alla fine, abbiamo scelto.
E questa scelta è stata un pezzo di creazione e un pezzo di parto e un pezzo di destino ...


Bimbo vs zanzare: 0 a 1

D'estate ci sono le zanzare, si sa.
Le zanzare pungono. Anche questo si sa.
Una volta lo facevano preferibilmente di notte, attaccandoti accompagnate dal quel fastidioso ronzio (tanto che io pensavo: nutritevi di me , ma non svegliatemi please!!!!)
Ora c'è la zanzara tigre.
La zanzara tigre è subdola perchè non ronza, attacca di giorno, è più piccola e spietata. E colpisce l'obiettivo a raffica. E questa volta l'obiettivo era Dboy.
Il povero bambino, nonostante unguenti protettivi alla citronella, al generaneo e ad altre cose che si dicono "insettorepellenti", è stato letteralmetnte martoriato.
Una serie infinita di ponfi, uno nuovo ogni giorno.
Abbiamo cercato di rimediare con unguenti di vari tipo, sempre naturali senza sostanze chimiche all'interno, e almeno l'intervento post attacco sembra aver funzionato...

Ho scoperto che ci sono infiniti prodotti che si vantano di essere insettorepellenti ed altrettanti rimedi postpuntura.
Vanno da robe praticamente infiammabili al solo sguardo, a prodotti fatti solo di vaselina bianca ed estratti naturali.
La mia scelta, per i prodotti che sopratto uso su Dboy, ma anche per noi, è sempre stata indirizzata verso prodotti che fossero il più possibile naturali e che avessero un INCI il più possibile verde.
E queste sono state le nostre armi per la battaglia contro le zanzare.

La Lozione protettiva baby di Anthyllis agli oli  di andiroba e geranio per noi non ha funzionato. Le zanzare l'hanno proprio snobbata posandocisi sopra dopo la somministrazione!
Il dopopuntura Urtica Gel della Weleda invece fa il suo dovere: toglie il prurito, lenisce l'arrossamento, non puzza ed ha una formulazione che la rende fresca.
Anche il dopopuntura Ciderma della Boiron  fa estremamente bene il suo dovere: toglie il prurito e il rossore in un attimo, solo che ha una formulazione unguentosa  rimane un po'  unto sulla pelle.
Entrambe con un buon inci,  quindi sicure per i bimbi e per noi, e rispalmabili rispalmabili rispalmabili.....

L'amico pediatra mi consiglia Fidrem come insettorepellente. Non l'ho ancora preso ma ho intenzione di provarlo su Dboy al più presto.

ATTENZIONE: molti prodotti che dicono di essere "adatti ai bambini" in realtà lo sono solo dai due anni in su per cui leggete sempre bene le etichette.


[Non sono sponsorizzata da nessuno: le foto e i commenti sono di prodotti che io compro e provo secondo mia personalissima scelta]

domenica 25 agosto 2013

Venire al mondo

1pàrto    ['parto]
s.m.


sm
il partorire
sm
[in senso figurato] qualsiasi prodotto dell'ingegno

Mi ero preparata. Avevo letto tantissimo durante i mesi di gravidanza.
Partecipavo ad un forum, andavo in piscina per fare un corso di nuoto per gestanti, frequentavo il corso preparto dell'ospedale dove avrei partorito e quello del consultorio vicino casa. Avevo comprato un libro che spiegava passo passo tutti i nove mesi di gravidanza. E lo avevo pure letto. 
Mi ero preparta.
Ma non ero proprio preparatissima al fatto che Dboy sarebbe arrivato e avrebbe stravolto qualsiasi piano, progetto, organizzazione. Cominciando da prima di subito. Nascendo all'inizio della 37esima settimana.

Pensavo che certe cose succedessero solo nei film. Pensavo che solo nei film alla bella gestante si rompessero le acque e via, in un turbinio di sospiri e pianti, in un paio d'ore, arrivasse il pupo.
Togliete i sospiri e i pianti e pure il paio d'ore.  Ma il resto è andato così.

Tutto sommato ho avuto una buona gravidanza: come disturbo solo nausea e bruciori di stomaco e due periodi di un mese a letto a causa del collo dell'utero corto. 
Ed ero preparata. Avevo letto, mi ero informata. Avevo scelto consapevolmente la ginecologa e dove avrei voluto partorire, ho valutato che avrei potuto farcela senza epidurale. Ho letto Tracy Hogg e tante testimonianze sul parto. Mi sono lasciata tentare dal parto in acqua e dal parto in casa.
Mi sono informata sull'allattamento. Mi sono informata su supporti per portare.
Poi lui ha dato chiaro segno di voler uscire e io non avevo nemmeno pronta la valigia!

Mi si sono rotte le acque come nei film e come in molti film era presto ma, fortunatamente, non troppo da farci preoccupare. Sono stata ricoverata e trattata con antibiotico (per preservare il canale del parto da eventuali infezioni) e cortisonico (per dare una sferzata di energia ai polmoni di Dboy).
Dopo tre giorni e due induzioni sono entrata in travaglio.
Ma io ero preparata. Sapevo tutto, avevo letto tutto. 
Ero sola perchè avevo mandato via tutti e, francamente, la cosa mi faceva stare più tranquilla. 
C'è poco da fare, il parto è qualcosa di personale, non c'è nessuno che possa fare niente. Te la vedi tu col tuo dolore.
Io stavo bene così.
Aspettavo Dboy, sentivo che lui voleva uscire. Voleva vederci.
Sono stata calma, ho cominciato ad accogliere ed accettare il dolore delle contrazioni come qualcosa che mi avvicinava alla nascita. Le ho assecondate.
Sono stata premiata perchè a due ore dell'inizio delle contrazioni avevo il parto aperto di 4 cm e dopo altre due ore e mezzo sull'orrendo lettino della sala parto (bisognerà riparlarne, delle sale parto...) e alla quarta spinta è arrivato.
Ed ha pianto subito.
E' sgusciato fuori.
E' venuto al mondo.


Maternità

maternità    [materni'ta]
s.f.inv.


sf
l'essere madre; il complesso di vincoli affettivi che legano la madre ai figli
sf
ospedale o reparto ospedaliero riservato alle donne gestanti o partorienti

Vincoli affettivi che legano solo ai figli? O anche alle idee, ai progetti portati a termine o svaniti nel nulla, a quelli partoriti o abortiti...
Cosa significa essere mater?
Io lo sono stata, da sempre, di pupazzi, animaletti, storie scritte o solo pensate, progetti impossibili, cause perse. E ora lo sono di un bimbo.
Dboy.
Dboy ha 13 mesi.
Da 13 mesi rispetto a pieno la definizione del vocabolario.
Io ho creato un essere umano. 

E da qui comincia una nuova avventure e una vita diversa, una vita nella quale non sei più tu il centro di bisogni e desideri ma un piccolo esserino. Che pretende, vuole.
E dona, più di quanto non chieda. E insegna....

Dboy mi ha cambiato la vita, mi ha reso madre di figli.
E ora bisogna capire come gestire la cosa.
Ma iniziamo dall'inizio...
D boy viene al mondo....

sabato 24 agosto 2013

A new game...

Nuovo gioco sì, fin quando ne avrò il tempo.
Perché adesso  è il tempo il bene più prezioso. Ti alzi, ti prepari, prepari per gli altri. Vai al lavoro, esegui, concludi, studi, pensi, ti raccapezzi. Torni, prendi, badi, accudisci, prepari....e vorresti fare tanto altro ma il tempo non ce l'hai mai.
Bene, new game. Il mio nuovo gioco per parlarvi di me, della mia vita, del mio cucciolo, DBoy di 13 mesi, del  tempo, dell'ansia e della paura che spesso questa vita genera. E del come gestire tutto senza cadere in pezzi.