giovedì 17 ottobre 2013

Good times for a change

cambiàre    [kam'bjare]
v.tr. e intr.


vtr
sostituire una persona o una cosa con un'altra
vtr
rendere diverso
vtr
[detto di moneta] sostituirla con spiccioli o con valuta di altro Paese
vintr
diventare diverso

Good times for a change.

Dopo la nascita di un figlio tutta la nostra vita cambia.
Tutta.
Cambiano gli orari della colazione e le ore di sonno. Cambiano le nostre abitudini e il nostro concetto di riposo.
Cambiano le aspettative, i desideri, gli obiettivi. Cambia la considerazione di ciò che prima sembrava importante ed ora passa in secondo piano.
Tutta la vita cambia dopo la nscita di un figlio.
Mai detto fu più azzeccato.

Dopo i primi mesi  (in questo caso almeno 12 direi) le cose intorno a te però, lentamente, ti suggeriscono che si può quasi tornare a quella che prima consideravi "normalità".
Cominci a capire che puoi ricominciare a prenderti un pomeriggio dopo il lavoro per andare dal parrucchiere.
E la cosa ti piace.
Capisci che ogni tanto puoi anche uscire la sera.
E la cosa ti piace.
Capisci che quasi quasi puoi azzardare di pensare vagamente di ricominciare a fare pilates. Ad uscire con le amiche, ad iniziare nuovi progetti.

Poi c'è un momento in cui non ti basta tornare a quello che eri.
Perchè siamo esseri umani e gli esseri umani si nutrono di cambiamento.
Quindi c'è un punto, dopo la nascita del figlio, in cui senti che devi cambiare.
Qualcosa o molte cose non importa.
Good times for a change.

Devi modificare quello che sei e quello che hai intorno per avere nuova energia.
Il piccolo non è più così piccolo e così, senti, che può inziare un nuovo periodo, un nuovo capitolo della vita.
Good times for a change.

I cambiamenti portano energia nuova. I nuovi progetti ci danno slancio. I nuovi stimoli ci rendono attive e ci fanno sentire meglio.
Così possiamo ripartire per una nuova, un'ennesima, fase della vita, in cui 'aver riacquistato un po' della nostra libertà ci rende più forti.
Good times for a change.


martedì 8 ottobre 2013

Oddio, le coliche!

Al terzo di giorno di vita Dboy ha cominciato a piangere.
E, praticamente, non si è più fermato fino al quarto mese.

Dopo i primi tre giorni di vita passati senza nulla nello stomaco, al quarto, Dboy ha cominciato ad avere il mio latte tirato.
Che, ovviamente, visto la montata lattea inesistente per mancanza di ciucciate, non bastava.

Quindi Dboy, alla fine della sua prima settimana di vita, ha cominciato a nutrirsi con latte artificiale.
E ha cominciato a piangere.
A piangere.
A piangere.

C'erano giorni che era capace di piangere 10 ore consecutive.
10 ore consecutiva di urla, di dolore e di angoscia. Per lui. Per noi.

Era così piccolo, comunque mangiava e cresceva. Ma soffriva. Soffriva continuamente e, vederlo così, per noi era una vera e propria tortura. Sembrava ci strappassero ogni volta le viscere da dentro.
Il medico ci rassicurava. Lui stava bene in fondo, cresceva. 

Io lo mettevo nella fascia e cercavo di tenerlo stretto addosso a me e lui, piano piano, riusciva a rilassarsi e finalmente si addormentava.

I primi 3 mesi dopo il parto, i  primi 3 mesi  di vita del bambino sono davvero duri.
Almeno lo sono stati per me.
Sono stati duri perchè ero stanca, ancora dolorante all'inizio, spaesata e incredula. Non sapevo e non credevo possibile che ce l'avrei fatta a prendermi cura di quel bambino appena nato, che ancora non conoscevo.
Ed ero stanca.
Stanca.
E lui piangeva. Io ero sola.
Ero sola con lui per la maggiorparte del tempo e lo guardavo e lo sentivo piangere e non sapevo come alleviare quel suo dolore. Quel dolore che, in quel periodo, sembrava davvero caratterizzare tutta la sua identità.

Abbiamo cominciato a proporre tutti i rimedi noti e conosciuti in tutto il mondo e oltre per alleviare le "coliche del lattante".
Gocce, tisane, sali. Omeopatia, medicina tradizionale, conoscenza tradizionale. Massaggi, massaggini, manovre, fermenti.

Ma lui piangeva, piangeva, piangeva.
Non trovava, e non ci dava, riposo.
Piangeva prima della poppata e dopo, piangeva dopo il bagnetto. Piangeva durante la passeggiata.
Piangeva.

Io lo so, solo chi ha un figlio che ha sofferto di questi lancinanti dolori addominali può capire.
Perchè sentire un figlio piangere per ore ore ore e ore ed essere impotenti davanti a ciò per provando tutto è devastante.

Piangeva talmente tanto che, a nemmeno tre mesi, gli abbiamo dovuto are un'eco addome perchè, a quel punto, si sospettava la possibilità di altro.

L'eco è ancora di là, tra le sue cose, e mostra un addome opaco. E'  aria che dilata le anse quello che l'ultrasuono riesce a mostrare.
Soffriva sì e ne aveva davvero diritto.
Era pieno d'aria.

Ci dicevano, soprattutto i medici "Signora, passerà."
E io pensavo che era solo un modo per tranquillizzarmi. Tranquillizzare me che ormai gli davo una medicina con il bromuro per farlo rilassare qualche ora e fargli avere un po' di pace e riposo.

E invece avevano ragione. Avevano veramente ragione loro.

Un giorno, era l'inizio di novembre, le cose sono cambiate.
Quel giorno, all'inizio di novembre, mio figlio ha cominciato a ridere.
Ho visto il suo primo vero sorriso rilassato. Ho sentito la sua prima risata.
Dboy ha cominciato a ridere. E non ha smesso più.
E ci ha mostrato, liberato ormai da tutto quel dolore, chi era davvero.
Un bambino che ride sempre.
Ed è ancora così.

Il suo intestino era maturato, l'aria non c'era più, il dolore, piano piano, era completamente svanito.
Avevamo provato veramente di tutto. Di tutto.
Ma alla fine è vero, le coliche passano da sole.
Loro vanno via e  i nostri bimbi possono finalmente presentarsi per quello che veramente sono.





lunedì 7 ottobre 2013

C'era un'altra cosa che volevo fare

C'era un'altra cosa che volevo fare.
Il mio piccolo cucciolo volevo portarmelo addosso.
Sì, volevo portarmelo addosso come mamma canguro. Volevo essere una mamma canguro e volevo portare Dboy sempre addosso.
Volevo sentire l'odore di cucciolo. Volevo che il cucciolo sentisse il mio odore e che questo odore diventasse per lui l'odore più bello e rassicurante del mondo. L'odore di mamma.
Sì, volevo. Perchè la storia, poi, non è andata affatto così.

Prima di partorire avevo letto a destra e a manca, guardato figure e video for dummies su youtube.
Mi ero iscritta (veramente lo sono ancora, e ancora lo leggo con piacere ed un pizzico d'invidia) ad un gruppo di Mamme portatrici, mi ero convinta che era quello che desideravo e che faceva al caso mio.
Avevo anche parlato con chi le fasce e i supporti vari li usa e li produce e mi aveva aiutato a scegliere quello sembrava adatto alle mie esigenze.

Ma avevo fatto i conti senza l'attore principale della storia. Ancora una volta avevo fatto i conti senza di lui.

Ho una splendida ring sling blu notte. Il blu profondo su quale stanno bene le stelle. Un blu perfetto per Dboy.

C'era un'altra cosa che volevo fare, oltre ad allattare, ed era portarmi il mio cucciolo addosso.
Volevo tenermelo stretto. Volevo sentirlo sempre e volevo che lui mi sentisse.
Ma lui aveva altri progetti.

Tranne i primissimi mesi, in cui Dboy sembrava trovare grande sollievo dalle coliche quando lo mettevo in fascia nella posizione a culla,  non c'è stato niente da fare.

E io ho accettato che un bambino che non amava particolarmente stare in braccio e stare costretto in spazi piccoli non avrebbe mai amato particcolarmente stare in fascia.

E io, ancora una volta, ho imparato da lui. Che i progetti si modificano, che i desideri cambiano, che non sono una cattiva madre perchè non lo porto addosso e perchè non ci sormo insieme.

Lui è così, io sono così.
E, per il momento, la coppia funziona.




A volte ci provo ancora a mettere Dboy nella fascia. Ci divertiamo un mondo ma rimane un gioco.
Il gioco in cui mi porto il mio piccolo cucciolo addosso.